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Poco prima dell’estate è uscito, per Rizzoli, il primo romanzo di Sebastiano Mauri, artista visivo che ha deciso, per una volta, di esprimersi con le parole invece che attraverso le immagini.
Il romanzo è un brillante affresco della vita di un giovane tra l’Italia e NY, con sullo sfondo il cinema, gli incontri, e una famiglia un po’ speciale. Sebastiano ci racconta i retroscena di questa storia, e ci dà la possibilità di leggerne un brano che abbiamo fatto illustrare a Giovanni Dionisi attraverso un art work.

Com’é nata quest’avventura letteraria?

Quando ho iniziato a scrivere questa storia vivevo a New York da ormai quattordici anni. Lavoravo come artista visivo, ma continuavo a sognare di fare film, mi ero trasferito lì proprio per studiare cinema alla New York University. I primi capitoli di questo racconto erano in inglese e sotto forma di sceneggiatura. Poi è virato verso il romanzo quando ho voluto liberarmi dalle preoccupazioni legate ai costi di produzione cinematografici. Era molto liberatorio scrivere senza tradurre in budget la propria immaginazione. Ho finalmente raccontato la storia che volevo.
L’impronta anglosassone del linguaggio è rimasta però nei paragrafi corti, il linguaggio terso e i dialoghi serrati. Come quella cinematografica, che permea tutto il romanzo, per il ritmo veloce del racconto, lo stampo visivo delle scene e le situazioni impossibili da commedia degli equivoci.

Arti visive e letteratura, differenze e affinità. Qual è il tuo approccio a queste due forme espressive?

Il mio ‘fare arte’ include pittura, video, istallazioni, fotografie, disegni e sculture, quindi direi che già quando preparo una mostra l’approccio può variare molto a seconda delle occasioni, così come la routine che accompagna ogni diversa produzione. Quando faccio le riprese di un video in cui catalogo infiniti numeri di persone nei contesti più diversi, come nel caso di The song I love to e Immanence per esempio, passo le mie giornate a caccia di vittime da riprendere, mi caccio nei posti più impensati e finisco per conoscere personaggi sorprendenti. Nei periodi in cui faccio sculture come la serie Altars alterno lunghissime ore chiuso in studio in assoluto isolamento a fare in pratica l’artigiano religioso, a cacce al tesoro di materiali nei mercati delle pulci, chinatown, rigattieri e santerie di ogni dove. I ritratti pittorici della serie Faces mi portavano a essere cronicamente a caccia di visi da dipingere, a fissare troppo a lungo le persone in metropolitana o dal gelataio. Mentre scrivere è un sistema infallibile per ingrassare: io sono aumentato di otto chili nei tre mesi prima di andare in stampa. Giorni in cui a malapena ti stacchi dal computer, la schiena a pezzi, affondi una mano in una ciotola di noccioline, e la tua vita reale sostituita in blocco da quella fittizia che stai mettendo su carta. Ma avere una vita fittizia tra le mani su cui esercitare controllo, con cui divertirsi e togliersi sfizi è impagabile.

Goditi il problema, per te è così?

Spesso insistiamo nel cercare soluzioni a problemi insolubili, mentre sarebbe molto più saggio scoprire come integrarli nella nostra vita, goderceli, o addirittura renderli un nostro punto di forza.
Diciamo che Goditi il problema è il mantra che mi ripeto quando mi accorgo che sto cercando di abbattere un muro di cinta, armato di cotton fioc.

Stai già pensando a un prossimo romanzo?

Vorrei continuare le avventure di Martino Sepe e della sua strampalata cerchia di amici e familiari. Ho già in mente l’inizio del romanzo e dopo un anno intero speso a fare editing, ho molta voglia di lavorare su pagine nuove, bianchissime, cariche di potenziale retroilluminato.

IMMORTALE (pag 100/102):

Io non credevo a niente. E mi chiedevo se fosse comune.
«Ma esistono persone che non credono a niente, papà?»
«Che non credono a Dio? Agli altri? A cosa?»
«A niente, a Dio, ai fantasmi, al paradiso, a Babbo Natale. Quelli che non credono a niente.»
«Sì che esistono, ma non li invidio di certo.»
«Tu, papà, in cosa credi?»
«In un sacco di cose.»
«Per esempio?»
«Credo nella magia buona, credo nel karma, credo in Dio, anzi in molti dèi, credo negli spiriti degli antenati, credo nella Madre Terra, nelle cerimonie della pioggia e nei folletti dei boschi.»
«Ma tu credi a tutto.»
«Quasi. Non credo a Babbo Natale e alla fatina dei denti. E tu?»
«Io non ci riesco.»
«Vorresti credere?»
«Non posso, so già che è una bugia.»
«Ma puoi fare un salto di fede.»
«Cos’è?»
«Un tuffo in un mistero bellissimo.»
«A me non piacciono i tuffi, papà.»
«Hai tempo per cambiare idea mille volte.»
«Ci sono persone grandi che non credono in niente?»
«Milioni, lo zio Alberto per esempio non crede in niente di niente.»
«Come si chiamano?»
«A-gno-sti-ci.»
«Io sono agnosticio?»
«Si dice agnostico. Difficile dirlo per ora. Secondo me troverai qualcosa in cui credere prima che te ne accorga.»
A mali estremi, estremi rimedi: instaurai un rapporto segretissimo con la Vergine Maria.
Decisi che troncare con gli insegnamenti di Cristo non implicasse la rottura dei miei rapporti con sua madre, che per atavica discriminazione di genere non era neanche stata ammessa all’esclusivo club della Sacra Trinità dopo l’impressionante miracolo dell’Immacolata Concezione.
«Le donne lavorano molto più degli uomini e guadagnano molto meno» era la frase con cui mia madre zittiva qualunque uomo osasse criticare il lavoro di una donna.
La prova inconfutabile della sua teoria era Ginger Rogers: «Faceva gli stessi passi di Fred Astaire, con i tacchi alti e all’indietro, ed era pagata la metà».
Avevo una richiesta da fare alla Vergine e l’avrei ripagata con la mia devozione, senza intermediari. Volevo un rapporto diretto, onesto, basato sullo scambio. Io le promettevo che non le avrei mai chiesto nient’altro nella vita, me la sarei cavata sempre da solo e l’avrei ricoperta di preghiere.
Lei avrebbe esaudito il mio unico, umile desiderio: essere immortale. 

goditi il problema by federica tattoli, pizzadigitale 2012