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[ITA] [ENG] // LA BARBIE E IL SUBBUTEO // Ancora oggi, sono tantissimi i film che escono nelle sale in cui l’aggettivo ‘femminuccia’, o un qualche suo derivato, viene affibbiato a un maschio per fargli perdere ogni dignità. Nulla di più grave per un uomo che gli sia dia della donna. Mentre se si vuole elogiare il coraggio, la forza o l’intraprendenza di una donna, si dice che “ha gli attributi”, caratteristica esclusivamente maschile. Qualche mese fa, guardavo un film per bambini insieme a mia nipote, di soli tre anni, in cui un ragazzino imbranato negli sport veniva costantemente ridicolizzato dai compagni che gli davano della femminuccia, incluso, chiaramente, le altre bambine. Mia nipote sembrava trovare la cosa normale, e questo mi ha intristito. So bene come sia crescere in un mondo dove il tuo orientamento affettivo è usato come insulto, l’ho provato sulla mia pelle, e non lo auguro a nessuno. Mi chiedo come sia crescere in un mondo dove il tuo intero genere viene usato come insulto. Nel 2016. "Abbiamo iniziato a crescere le figlie come i figli, ma in pochi hanno il coraggio di crescere i nostri figli come le nostre figlie" ha scritto Gloria Steinem. La maggiore fluidità dei generi che si è andata sviluppando negli ultimi anni, ha innanzitutto rappresentato un avvicinamento delle donne agli ‘usi e costumi’ degli uomini, mentre il contrario, un avvicinamento da parte dei maschi alla sfera femminile, riscontra ancora molta resistenza, anche laddove non ce la si aspetterebbe. Come mai? Forse la risposta è tristemente semplice. Il sesso maschile è ancora considerato il sesso forte, da emulare, cui aspirare, mentre quello femminile rimane nel nostro subconscio il sesso debole, da perfezionare, cui emanciparsi. Insomma, una donna che si avvicina all’universo maschile sta facendo un consigliabile upgrading, un uomo che si avvicina all’universo femminile sta facendo un imperdonabile downgrading. L’unica eccezione a questa regola è nel caso il cosiddetto ‘universo femminile’ dia possibilità di carriera, allora farvi incursione, per un uomo, non è affatto sconsigliabile. Infatti, gli chef, stilisti e parrucchieri più retribuiti al mondo, sono uomini. Insomma, se c’è da cucinare per i marmocchi o fare l’orlo al pigiama della nonna, tocca a lei. Se invece c’è da ricevere stelle Michelin o disegnare gli abiti per il prossimo concerto di Katy Perry, tocca a lui. Gli abiti femminili possono tornare utili anche nel caso un uomo voglia darsi un’aria spirituale, come dimostrano gli uomini di chiesa, gli sciamani e gli stregoni, assidui indossatori di gonne. Se non sei scozzese, la lista finisce qui. Come i fornelli o la macchina da cucire non hanno nulla a che fare con l’essenza del femminile, così una gonna, del trucco o dei lunghi boccoli, sia ben chiaro, non sono che i tradizionali simboli del femminile, frutto di culture quasi sempre dominate e disegnate dagli uomini. Per quanto può essere faticoso per una donna liberarsi da questi simboli, conquistarli, per un uomo, è spesso un’impresa disumana. Il maschilismo non è solo alla base del sessismo, ma anche dell’omofobia, spesso interiorizzata. Anche nella giungla di app e social network dedicati agli incontri tra soli uomini, abbondano le richieste per uomini esclusivamente non effeminati, come se si trattasse di un handicap insormontabile. David Bowie, che da poco ci ha lasciato, è stato una delle prime rock star a infischiarsene dei confini di genere, a presentare un’immagine fluida, androgina e sicura di sé. Che riposi in pace e torni presto a trovarci, sotto le sembianze che preferisce. I vecchi vizi, purtroppo, sono duri a morire, specialmente se non stiamo parlando di una rock star, ma di un consulente aziendale. Un paio di mesi fa, è uscito, sul sito di un quotidiano, un servizio dal titolo La storia di Stefano-Stefania: «Mi vesto da donna ma resto un uomo». Nel servizio, Stefano racconta della sua vita di padre e marito che ama guidare le macchine di grossa cilindrata, cui piace seguire il calcio in TV e leggere romanzi d’azione. Il tutto, in abiti esclusivamente femminili. Nel vedere Stefano che passeggia sicuro sui tacchi, con un tailleur dai colori accesi e la calvizie avanzata, incurante degli sguardi che suscita, non si può che ammirarne il coraggio. Ricordo bene quando solo a cinque anni decisi di soffocare per sempre la mia parte femminile, quella che amava giocare con le Barbie e saltare all’elastico, fare le torte di plastilina e pettinare i capelli fini di mia madre. Imparai presto che tutto ciò era inaccettabile, diedi le Barbie in adozione e mi dedicai a collezionare senza entusiasmo squadre di calcio per il Subbuteo. Per recitare la parte del vero uomo non ci vuole un vero uomo, ma qualcuno che non ha il coraggio di essere se stesso. Qualcuno che preferisce il comfort dell’omologazione piuttosto che l’avventura della propria unicità. Dare della femmina a un maschio non è un insulto, ma un complimento. Un maschio che abbraccia la sua parte femminile è con ogni probabilità un maschio migliore.